Le microplastiche sono ormai ubiquitarie nell’ambiente: si ritrovano nei mari, nell’aria, nel suolo e persino negli alimenti che consumiamo quotidianamente. Secondo stime recenti, un essere umano ingerisce in media ogni settimana una quantità di microplastiche equivalente al peso di una carta di credito. Queste particelle, con dimensioni inferiori a 5 mm, contaminano l’acqua potabile, i prodotti ittici, la frutta, la verdura e diversi alimenti confezionati.
L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) le ha classificate come “contaminanti emergenti”, poiché la loro presenza è sempre più diffusa e i possibili effetti sulla salute umana non sono ancora completamente chiariti. Tuttavia, numerosi studi indicano che le microplastiche possono attraversare le barriere biologiche e accumularsi in diversi tessuti e organi, contribuendo a fenomeni di infiammazione cronica, stress ossidativo, disfunzioni metaboliche e immunitarie. Tracce di queste particelle sono state rinvenute nel sangue, nei reni, nel midollo osseo, nello sperma, nel latte materno, nella placenta e persino nel tessuto cerebrale, dove è stata stimata una concentrazione equivalente a circa un cucchiaino di plastica.
Origine delle microplastiche
In base alla loro provenienza, le microplastiche si distinguono in due categorie principali:
Microplastiche e acqua: non solo bottiglie di plastica
Tradizionalmente, l’acqua imbottigliata in contenitori di plastica (PET) è stata considerata una delle principali fonti di esposizione alimentare alle microplastiche. Tuttavia, un recente studio condotto dall’Agenzia francese per la sicurezza alimentare, ambientale e occupazionale (ANSES) ha evidenziato che anche le bottiglie di vetro possono contenere concentrazioni significative di microplastiche, in alcuni casi fino a cinquanta volte superiori rispetto a quelle riscontrate nelle bottiglie di plastica o nelle lattine metalliche.
Secondo i ricercatori, tale contaminazione non dipenderebbe dal materiale del contenitore, bensì dai componenti dei tappi e dei rivestimenti interni, che possono rilasciare microframmenti durante l’apertura o la conservazione.
Pertanto, la scelta più sicura rimane l’acqua del rubinetto, opportunamente controllata e, se necessario, filtrata. Qualora si preferisca l’acqua in bottiglia, è consigliabile optare per contenitori in vetro con chiusure di qualità e riutilizzabili, riducendo così il rischio di contaminazione e l’impatto ambientale.
Come ridurre l’esposizione alle microplastiche: i consigli della nutrizionista
Sebbene l’eliminazione totale delle microplastiche dall’ambiente non sia al momento possibile, è possibile limitare concretamente l’esposizione quotidiana adottando alcune abitudini preventive:
Conclusioni
La diffusione delle microplastiche rappresenta una sfida emergente per la salute pubblica. Anche se la ricerca è ancora in corso per comprenderne appieno gli effetti a lungo termine, le evidenze attuali suggeriscono la necessità di limitare l’esposizione attraverso scelte consapevoli e sostenibili. La prevenzione ambientale e alimentare resta, oggi più che mai, la strategia più efficace per proteggere la salute dell’uomo e dell’ecosistema.
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